In ascolto della parola

Domenica 21 novembre – Solennità di Nostro Signore Gesù Cristo Re dell’Universo

Dal Vangelo secondo Giovanni (Gv 18,33-37)
Tu lo dici: io sono re.

In quel tempo, Pilato disse a Gesù: «Sei tu il re dei Giudei?». Gesù rispose: «Dici questo da te, oppure altri ti hanno parlato di me?». Pilato disse: «Sono forse io Giudeo? La tua gente e i capi dei sacerdoti ti hanno consegnato a me. Che cosa hai fatto?». Rispose Gesù: «Il mio regno non è di questo mondo; se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servitori avrebbero combattuto perché non fossi consegnato ai Giudei; ma il mio regno non è di quaggiù». Allora Pilato gli disse: «Dunque tu sei re?». Rispose Gesù: «Tu lo dici: io sono re. Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per dare testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce».

Commento

Questa domenica celebriamo la solennità di Cristo re dell’universo, istituita da Pio XI nel 1925. Una solennità alquanto strana per noi italiani che viviamo in un contesto politico democratico e che ci siamo lasciati alle spalle ormai da molto tempo la monarchia. Alla luce di ciò, parlare di Cristo re ci può sembrare anacronistico. Possiamo però superare queste resistenze, comprendendo meglio il significato della regalità di Cristo che tutte le letture di oggi ci propongono, presentandoci Gesù come il sovrano dei re della terra. È proprio il Vangelo odierno ad aiutarci nella comprensione del senso della regalità di Cristo, attraverso una pericope che sembra anch’essa stridere con la sovranità nel modo in cui la intendiamo noi, che narra della Passione di Cristo. Gesù è arrestato e condotto da Pilato, siamo a pochi passi dalla sua crocifissione. Pertanto, questo testo dell’evangelista Giovanni tutto trasmette tranne che regalità o sovranità. Secondo le nostre logiche umane trasmette solo fallimento: Giuda lo tradisce, Pietro lo rinnega, altri scappano. Invece Gesù attraverso il dialogo con Pilato, ci indica la via della sua regalità, quella vera, alla quale tutti quanti noi partecipiamo in virtù del battesimo, essendo il Popolo di Dio un popolo sacerdotale, profetico e regale.

Ancora una volta, Gesù ci invita a cambiare prospettiva, a lasciare le nostre idee di potere, per intraprendere la via della croce, la via del servizio, la via dell’amore. Via attraverso la quale ha vinto il mondo attirando tutti a sé. È così è stato, a duemila anni dalla sua croce, la sua morte non ha portato nell’oblio la sua storia, ma ha proiettato la vicenda storica e la storia dell’umanità nell’eternità. La via della croce non è pertanto la via del fallimento, come molti speravano, ma la via della vittoria sulla morte. Questo cambio di prospettiva al quale siamo chiamati si evince dalla risposta che Gesù dà a Pilato: “Il mio regno non è di questo mondo; se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servitori avrebbero combattuto perché non fossi consegnato ai Giudei”. Affermazione che evidenzia una forte presa di distanza dal potere inteso secondo la mentalità umana, capace di esercitare dominio politico ed economico, fino a ledere la dignità umana. Da questo modo di intendere, Gesù oggi ci invita a prendere le distanze, ricordandoci che siamo chiamati anche noi a regnare insieme a lui, dando testimonianza alla verità, esercitando quel “potere” che fa saltare i piani dei potenti: il “potere” del servizio, della carità e dell’amore esercitato fino alla fine, per il bene di ogni fratello, di ogni sorella, e del creato, come ci insegna lo stesso San Francesco d’Assisi.

Commento a cura di Fra Marco Valletta