In ascolto della parola

Domenica 20 Giugno

Dal Vangelo secondo Marco (Mc 4,35-41)

In quel giorno, venuta la sera, Gesù disse ai suoi discepoli: «Passiamo all’altra riva». E, congedata la folla, lo presero con sé, così com’era, nella barca. C’erano anche altre barche con lui.
Ci fu una grande tempesta di vento e le onde si rovesciavano nella barca, tanto che ormai era piena. Egli se ne stava a poppa, sul cuscino, e dormiva. Allora lo svegliarono e gli dissero: «Maestro, non t’importa che siamo perduti?».
Si destò, minacciò il vento e disse al mare: «Taci, calmati!». Il vento cessò e ci fu grande bonaccia. Poi disse loro: «Perché avete paura? Non avete ancora fede?».
E furono presi da grande timore e si dicevano l’un l’altro: «Chi è dunque costui, che anche il vento e il mare gli obbediscono?».

Commento

Avere paura delle forze insuperabili che ci sovrastano, e temere l’ignoto che pure ci affascina, è umano, è una benedizione, perché ci dà il nostro posto umile e al contempo grandioso nel cosmo: io la chiamo la “paura pensata”, la consapevolezza cioè dell’infinitamente grande e dell’infinitamente piccolo, e lo spingerci oltre, lo sfidare senza rassegnazione, il lottare contro i limiti della natura, lì dove ci è possibile. È quel senso di “impotenza bella”: la percepiamo davanti alla grandiosità del mare e alla sua musica o sotto un cielo stellato da brividi; dinanzi alla lava, al fuoco, o ammirando le vette di superbe montagne; come pure al cospetto del minuscolo, il microscopico, quella progettazione da paura che costruisce ogni cosa. Tutte forze che possono distruggerci in un secondo perché troppo potenti rispetto a noi, ma che pure sono la nostra casa, la nostra vita. Ci nutrono, ci danno la vita. Ma anche la morte. Le amiamo e le temiamo, danzando sull’abisso del caos, sulla tempesta.
Ma c’è un’altra paura, che schiaccia, che uccide, che non fa dormire: il terrore che paralizza ogni danza, ogni pensiero, ogni bellezza. Che non fa più vivere.
Vivere una paura piuttosto che l’altra – anzi scacciarla proprio l’altra – è vitale.
Quella della notte tempestosa e insonne dei discepoli non è altro che l’avventura della vita, tra forze più grandi di noi, eppure col Signore “a bordo”, mai soli nell’ardua navigazione.
La traversata di Gesù e dei discepoli allude alla notte degli Israeliti braccati al Mar Rosso, messi nell’angolo, senza scampo: “Dio è in mezzo a noi…eppure siamo perduti!”. Lì Mosè stese il bastone e attese l’intervento di Dio, qui Gesù si rivela padrone delle forze cosmiche e dà ordini al vento e al mare.
Un racconto sfizioso, pieno di ironia: finita una delle sue estenuanti giornate di insegnamento alle folle, Gesù vuole attraversare subito il lago di Tiberiade. Follia, assurdo per quei marinai! A sera, col crollo delle temperature, nessuno sa come i venti si comporteranno al centro del lago. I pescatori esperti, tuttavia, si fidano: con lui a bordo non potranno morire, anzi, non potrà succedere proprio nulla! Se lui lo chiede – gran burlone – andrà tutto bene... Quante volte pure noi ci siamo fidati di lui e ci siamo trovati in mezzo ai guai! Quali sguardi lanciati dai discepoli: “Ma chi ce l’ha fatto fare a fidarci!”. E Gesù, sballottato da venti e onde, che fa? Dorme in pace. Un sasso. Non lo sveglia nemmeno un cannone. È il contrario di Giobbe insonne. Ad avercela quella serenità! Non sta giocando, non sta fingendo: è sonno profondo, quello di chi sa di essere al sicuro. Finalmente può dormire dopo essersi donato tutto alla gente. Gesù è più forte di quanto c’è di più forte: al punto da dormire assiso sulla tempesta. La sua debolezza è più forte di tutto. “Perché avete paura? Non vi fidate ancora?” grida dopo che gli hanno rovinato la dormita. Quell’ ‘ancora’ è sublime: “C’è da dormire sereni nella tempesta, perché io sono con voi! Dove sono io, la morte arretra. Non è la morte il pericolo: è il non svegliarsi all’Amore”.
Dormire con lui al mio fianco in mezzo ai guai, mentre lotto, li affronto per superarli: che fatica che facciamo! Di solito la paura ci devasta, ci sfigura, altro che dormire sereni…
Eppure la fede altro non è che distinguere chi è il più forte: se la tempesta, le forze di vita e di morte che non possiamo mai davvero controllare, o Lui, che ci dorme sopra beato, amante, amato.
Chi è più forte? Con lui, per lui, grazie a lui siamo già morti: non c’è più morte e angoscia che tengano, siamo liberi da tutto e tutto è già nuovo. “L’amore del Cristo ci tormenta, ci travolge, ci possiede: ci ha fatti già morire tutti e non dobbiamo morire più! Come vivere ancora solo per noi stessi? Come non liberare tutti dalla schiavitù della paura in questo Amore?”.

Commento a cura di Fra Amedeo Ricco