In ascolto della parola

Domenica 23 Maggio - Solennità di Pentecoste

Dal Vangelo secondo Giovanni (Gv 15,26-27; 16,12-15)

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Quando verrà il Paràclito, che io vi manderò dal Padre, lo Spirito della verità che procede dal Padre, egli darà testimonianza di me; e anche voi date testimonianza, perché siete con me fin dal principio.
Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso. Quando verrà lui, lo Spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità, perché non parlerà da se stesso, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annuncerà le cose future. Egli mi glorificherà, perché prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà. Tutto quello che il Padre possiede è mio; per questo ho detto che prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà».

Commento

Ruach haQodesh,
Respiro del bacio che genera vita,
Alito Santo dell’amore che fonde.
Come Dio in Sé è partecipazione di tutto,
generazione e unità d’amore,
e come in principio col suo Soffio
partecipò all’uomo qualcosa di Sé, della sua vita,
mise qualcosa di suo in noi,
così la resurrezione di Gesù
fu una nuova effusione dello Spirito,
una nuova creazione dell’umanità:
dal sepolcro non uscì il Gesù di prima, l’uomo di prima, ma il primo di una nuova creazione, il primo di tanti fratelli. La natura umana era creata di nuovo, senza il limite, slegata dal destino di corruzione, del dover finire: gloriosa, capace dell’Amore creativo divino in tutta la sua portata.
Era stata promessa dai profeti l'irruzione finale dello Spirito, nel Giorno del Messia: avrebbe sbaragliato il destino dei mortali, spalancato tutti i sepolcri, e fatto dei morti, risorti, creature nuove.
In Gesù ogni profezia si è compiuta, e lui, nuovo Adamo glorioso, tutt'uno col Padre e coi suoi, partecipa il Soffio della Vita divina in anticipo, prima della resurrezione del creato, mentre ancora si muore. Un’altra sorpresa inattesa! La partecipazione dello Spirito di Gesù Risorto, dello Spirito del Padre, non è che l’assaggio, la caparra, l’anticipo qui e ora, in noi, della resurrezione: dell’essere “capaci di Dio”, di tutto quello che Lui è, che esploderà solo alla fine, nel mondo ricreato. Questa è l’idea primordiale dell’effusione dello Spirito e non le ‘ispirazioni’. È il tema portante: il Risorto è l’inizio della vita nuova del Regno, il primo degli uomini nuovi, e questa unità piena con Dio, che si avrà nella nostra resurrezione, inizia già ora, con un ‘vivere nuovo’, con l’unità bella dei discepoli che amano.
È curioso come tra Pesach e Shavu‘ot, Pasqua e Pentecoste, intercorra il medesimo rapporto per ebrei e cristiani, seppur su piani diversi. C’è una liberazione, una bellezza nell’essere slegati da male e morte che sfigurano, una chance di pienezza che è il Signore da solo a conquistare per noi: un puro e solo ricevere, che ci fa cantare, sperare, che ci consola quando tutto sembrava perduto. Questa è la Pasqua: amore immeritato, sconfinato, predilezione, perdono che travolge ogni colpa, che libera. La disfatta dell’invidioso, del maligno: i deboli possono risorgere, tornare alle sorgenti della vita, della gioia. Ma poi c'è un'altra libertà, quella di Pentecoste: della Parola che inaudita fiammeggia sul Sinai e scrive su pietra col fuoco. E i cuori avvampa. Quando non è più solo un ricevere, un essere travolti, come a Pasqua: ma l'essere coinvolti, protagonisti adesso del dono! La volontà di Dio che diventa mia. Non più solo amati alla follia, ma folli amanti, imitatori, ‘osservanti’. Non più solo usciti dall'Egitto, ma l'Egitto scacciato per sempre dal cuore. Un cuore nuovo che palpita di nuovi fremiti, che mette in moto un corpo nuovo. È un macigno questa verità, che tanti non vogliono più sentirsi dire: che l'amore non è, che semplicemente muore, se solo si riceve! Molti rimangono alla Pasqua, a Pentecoste non ci arrivano. Quell’amore deve ardere in te, lo devi provare, sentire: questa è la Pentecoste! Essere coinvolti nell’amare di Dio e non più solo ricevere il suo amore. Il dono dello Spirito di Gesù è la meravigliosa ‘capacità’ di amare alla sua misura, quella infinita, quella della croce; di avere lo stesso numero di ‘respiri’, la qualità di vita, la frequenza di battiti del cuore di Dio. Essere ‘altri Cristo’. Corrispondere all’Amore. Se ti dà il suo Spirito, tu puoi. Qui si compie la Pasqua: non basta neppure l’esperienza di essere infinitamente amati, fino al punto che Dio ci vuole con sé, beati, compiuti per l'eternità nel suo abbraccio (provare, cioè, che significa essere amati dal Padre come si sente amato il Figlio); ci vuole poi il dono di poterlo riamare eternamente, con un abbraccio, una carica, una profondità, una intensità che è infinita, divina (provare, cioè, che significa riamare il Padre come lo ama il Figlio). È questo il culmine, la meta della Pasqua: diventare capaci della vera libertà. Senza poter riamare, si resta incompleti. Amati, sì: ma incompiuti, tristi.
I brani della Scrittura che si leggono a Pentecoste seguono sempre la stessa struttura: il racconto di Luca in Atti che allude al Sinai; l’esperienza dello Spirito come la descrive Paolo (in base agli anni si legge la prima lettera ai Corinzi, Galati, Romani); l’esperienza dello Spirito come la descrive Giovanni.
Il pensiero di Paolo emerge in tutta la sua forza: il battesimo, essere immersi in Cristo, è essere inseriti nel suo Corpo glorioso, il Corpo dell’Uomo Nuovo. La Pentecoste ebraica sottolineava, nel dono della Torah, la nascita di un popolo speciale, singolarmente libero: ora invece è un Corpo ‘cattolico’, un’unità senza steccati, un organismo che parla la stessa lingua della vita. Niente più padroni e servi, uomini e donne, niente più ebrei e pagani. Lo Spirito questo fa: non ci sono più separazioni tra noi, ma l’unità organica delle diversità, come nel corpo umano. Sfumature, pieghe, curve, colori, compiti: un variopinto scambio di vita. Niente di uguale: neppure ciò che nel corpo è simmetrico è uguale! Tutti a lavoro per la Vita. E siamo parte di un Corpo che già ora gode in anticipo i frutti della resurrezione: l’uomo vecchio è morto e già ci muoviamo, camminiamo da risorti. È il “cammino dello Spirito”, come lui lo chiama. È vivere già ora ciò che è di Dio, provare in noi già ora i desideri di Dio: amore, gioia, pace. Essere già eredi, coeredi di quello che è di Cristo, del Risorto, come lui ha già ereditato per sé il nostro meglio: l’umano per sempre in Dio. Che scambio meraviglioso tra noi e Gesù! Dinanzi a tale scambio “non c’è Legge”. Eredi, coeredi: avremo tutto ciò che è suo come lui ha tutto ciò che è nostro! Lo Spirito Santo, che ha fatto irruzione nel sepolcro del Messia, è lo stesso riversato nel nostro cuore. Primizia di ciò che sarà.
L’esperienza dello Spirito come la racconta Giovanni nel Vangelo è – come in Paolo – scambio, partecipare a ciò che è della nuova natura umana del Risorto: l’alitare di Gesù è nuova creazione. Fa arrivare ai discepoli la sua Vita trasfigurata mentre ancora sono limitati, mortali. Così li unifica a sé. Ora possono amare all’altezza, alla profondità del Figlio. Possono amare e perdonare con la carica di Gesù! E se non lo fanno, Gesù non potrà essere sperimentato. È un appartenersi e un abitarsi reciproco, come quello degli sposi: un dimorare uno nell’altra fino alla pienezza, fino al vero ‘per sempre’, quello della nuova creazione (e l’estasi dell’atto sessuale, infatti, quell’attimo che profuma di eternità, altro non è che scintilla, assaggio dell’unità che vivremo in Dio all’ennesima potenza!). Adesso “E venne ad abitare in mezzo a noi” si compie davvero: nel dare a me tutto ciò che è suo e nel tenersi con gioia, in Dio, tutto ciò che è mio. Il “dimorare nuziale nello Spirito” in questa reciprocità però, ha una gradualità fino alle nozze eterne: gradualità della verità, per esserne sempre più ‘capaci’; gradualità della liberazione. Da un lato quindi occorre darsi tempo per portare frutto, dall’altro non smettere mai di cercare la verità e la libertà. Verità e libertà non sono mai ‘già date’ nel dono dello Spirito: la Ruach del Risorto ci guida gradualmente all’ “intero”, sempre di più alla verità e alla libertà del Vangelo, fino alle nozze eterne. La Chiesa nella storia non possiede mai la verità tutta intera e la liberazione: è un crescendo.
Il racconto della Pentecoste, cioè il Battesimo nello Spirito della Chiesa nascente (non c'erano solo gli Apostoli!), dà tre spunti di riflessione (tralasciando le lingue di fuoco, che sono un rimando alle tradizioni ebraiche del Sinai):
1) “Tutti insieme”, due paroline. Nonostante incomprensioni (presenti e future), idee, intelligenze diverse, timori, gelosie…Tutti Insieme! Spesso (e oggi è proprio una epidemia tra i cattolici) i cristiani fanno a gara a stare ‘contro’ qualcuno: una spasmodica voglia di mandare all'inferno gli altri…più anticristo di così non ce n’è;
2) “Lo Spirito dava loro il potere di esprimersi”…chi potrebbe mai esprimere il Padre? Chi sarebbe mai all'altezza del compito? È divino il potere di esprimere, di far capire all’uomo con quale tenerezza è guardato e di quale amore è capace. Gesù trasmette il suo potere di far conoscere Dio. Perciò disse: “Farete cose più grandi di me...”;
3) E poi quel “rumore”. Certamente rimanda ai boati e ai fragori del Sinai. Ma qui, la presenza dello Spirito, è qualcosa di nuovo che senti, un rumore che avverti, ma non ti spieghi: il “sottofondo di Gesù” nei suoi. Chi ha lo Spirito si riconosce: c'è un qualcosa di nuovo, di attraente in lei, in lui, mai visto prima. È il rumore del Cielo, il sottofondo del Regno, la degustazione del Paradiso. In loro c’è Cristo col suo Spirito, e lui attrae colla sua melodia, col suo accordo. È lui, attraendo, che fa la Chiesa “cattolica”, “per tutti”.
Che si senta allora questa musica in noi, che si avverta!
Amiamo potentemente. Amiamo divinamente.
In Gesù ne abbiamo il potere!

Commento a cura di Fra Amedeo Ricco