In ascolto della parola

Domenica 2 Maggio - V Domenica di Pasqua (B)

Dal Vangelo secondo Giovanni (Gv 15,1-8)

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Io sono la vite vera e il Padre mio è l’agricoltore. Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo taglia, e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto. Voi siete già puri, a causa della parola che vi ho annunciato.
Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può portare frutto da se stesso se non rimane nella vite, così neanche voi se non rimanete in me. Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete far nulla. Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e secca; poi lo raccolgono, lo gettano nel fuoco e lo bruciano.
Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quello che volete e vi sarà fatto. In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli».

Commento

È della lingua dell’amore l’espressione: “Mi sei rimasto/a dentro, sei parte di me”. Chi è amato e ama a sua volta, rimane sempre dentro, con, per. È del vero amore il “restare sempre”: sia l’esserci, il non mollare mai la persona amata, sia sentirla parte di sé, indivisibile, in ogni fibra del proprio essere. È del vero amore diventare uno. Di questa fusione di vita dell’amare ci parlano oggi i brani della Scrittura: una comunione piena, un diventare uno, che genera la vita, che porta il frutto.
Le parole del Vangelo di Giovanni che ascoltiamo, danno inizio alla sezione dei capitoli 15-17: sembrerebbe un inserimento che nella primissima versione del Vangelo non c’era. Infatti il c. 14 (al termine dell’ultima cena) finiva così: “Non parlerò più a lungo con voi… Alzatevi, andiamo via di qui”. E il c. 18, infatti, inizia così: “Gesù uscì con i suoi discepoli al di là del torrente Cedron” (cioè dal cenacolo e dalle mura della città verso il Monte degli Ulivi). Ma poi vengono inseriti i tre capitoli 15-16-17, dove Gesù parla assai (eppure aveva appena detto “Non parlerò più a lungo con voi…Andiamo via”).
Nell’ultima notte con gli amici Gesù dichiara l’amore eterno di Dio e suo per noi col vocabolario del “restare”: “Rimanete, non mi lasciate. Perché siamo una stessa pianta ormai, uno stesso organismo, inseparabili: io vivo per voi e voi per me. Abbiamo la stessa radice. E non possiamo più staccarci, o nemmeno io avrò più senso! A che serve una pianta senza rami, una vite senza tralci? Senza voi non si potrà fare più il vino dell’amore, della gioia! Senza di voi non c’è festa nel mio cuore. Non possiamo stare uno senza l’altro: indispensabili, indissolubili”. Da questa vite si farà il vino: quello delle Nozze, della festa del Regno di Dio. Sono parole di fidanzato, di sposo, di innamorato: “E se ci sono dei tagli, delle potature – e fa male – e non sentirete sempre la passione, la festa, l’ardore, non mi lasciate per questo! Non rinnegatemi per amare qualcun altro, o perderemmo tutto: voi me, io voi. Son potature quelle del Padre, il Viticoltore del cuore: serviranno per farvi crescere, perché l’uva sia più dolce di prima e il vino migliore. Restate, non mi lasciate, o con me perderete anche voi stessi, l’intera Vita, quella vera, che trabocca. Nessuno è mio discepolo una volta per tutte: lo si diventa sempre di più”. Chi ama resta, in una unione costante, con la stessa linfa, e cresce. Chi non cresce, chi non migliora il frutto, il suo proprio vino, non ama.
L’eco della stessa idea è nella lettera giovannea: amare coi fatti, portando frutto, è “rimanere” in Dio e Dio in noi. Vivere dello stesso Spirito di Gesù, in comunione piena con lui, è far diventare nostra carne la sua parola. Il frutto gustoso, la vita nuova che si genera, prova l’unione indissolubile, la comunione piena. Senza frutto, senza vino gustoso, che comunione è? Non è autentica. Eppure, anche quando quell’amore, quel “restarci dentro” uno nell’altro, non fosse ancora pieno e totale, “Dio è sempre più grande del nostro povero cuore e conosce tutto di noi”. Possiamo sempre ripartire, fiduciosi.
“Saulo poté stare con gli apostoli, predicando apertamente”. Atti presenta un “restare” sorprendente, sconvolgente: quello di Saulo/Paolo nella Chiesa nascente, la stessa che aveva devastato e fatto soffrire! Passati 3 anni – come egli stesso scrive nelle sue lettere – dalla sua illuminazione-vocazione sulla via di Damasco, salì a Gerusalemme. Qui nessuno crede alla manifestazione del Risorto proprio a lui, l’odioso nemico che li voleva morti: rancore, diffidenza, e il sospetto che fosse tutto un trucco per stanarli dall’interno... Fu solo Barnaba a intuire. Lo portò personalmente da loro. Ora, per le ferite profonde inferte loro dall’odioso Saulo, che fede ci volle? Gesù lo mandava a Pietro, a Giacomo, alla Comunità: sarebbero stati all’altezza del suo Amore? Avrebbero perdonato? Avrebbero abbracciato l’omicida di Stefano, il persecutore spietato, il peccatore eletto apostolo dal Risorto stesso? Dopo tutto il dolore arrecato, le stragi tramate… Pietro e Giacomo lo accolsero! Riconobbero l’opera di Dio! A rischio di sconvolgere la Comunità con questo abbraccio totale. Questa è la Chiesa! Non solo parole, ma fatti. E fu un pandemonio: per l’amore di Cristo, per la comunione con l’imperdonabile, la Chiesa perse la pace. Per la comunione vera, la Chiesa si divise. Lo vogliono morto tutti: sia chi non è capace di perdonare, sia i suoi vecchi alleati. Infine hanno dovuto allontanarlo, scortarlo fino a Cesarea e metterlo su una nave per Tarso: a casa, lontano da tutti. Per salvargli le penne e per salvare la pace. Ma anche questa emarginazione di Paolo sarà provvidenza, che porterà frutti gustosi e meravigliosi. Grazie anche alle intuizioni di Barnaba e al perdono di Pietro che abbraccia. Ciascuno può essere fondamentale per il cammino dell’altro. Se ha il coraggio dell’amore, il coraggio di restare. Di avere le stesse radici con Gesù, la stessa linfa. Lo stesso vino.

#vangelodelgiorno

Commento a cura di Fra Amedeo Ricco